Commercio Equo e Solidale in italiano, Fair Trade in inglese. Cerchiamo di capire cosa c’è dietro queste parole.
Le origini del commercio equo e solidale
Negli anni ’60 in molti paesi industrializzati si svilupparono iniziative per dare solidarietà al Terzo Mondo attraverso l’importazione di prodotti alimentari e artigianali. Si trattava di movimenti con motivazioni politiche oppure di organizzazioni che cercavano si lottare contro la povertà e l’arretratezza economica.
La prima Conferenza dell’UNCTAD (Organizzazione delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo), che si inaugurò a Ginevra nel 1964, lanciò un appello: “Trade not Aid”, cioè “commercio, non aiuto”. Si volevano così invitare i governi a far leva sul commercio internazionale, piuttosto che sugli aiuti, per favorire lo sviluppo dei paesi economicamente arretrati.
Questo slogan riassume anche ciò che andava scoprendo, dalla propria esperienza, un gruppo olandese, impegnato da pochi anni in progetti di sviluppo in paesi svantaggiati: che l’invio di denaro o beni di prima necessità non incide sulle cause della miseria e sui rapporti economici ingiusti. Decisero di cambiare strada, e come primo passo aiutarono alcuni gruppi di contadini e artigiani a organizzarsi in cooperative capaci di riunire i loro prodotti e avviarli all’esportazione. Poi, nel 1967, crearono una cooperativa di importazione, ma rimaneva uno scoglio: come far arrivare i prodotti ai consumatori? Poiché non trovavano spazi nella normale distribuzione, aprirono un negozio in proprio nella cittadina di Brekelen: la prima Bottega del Mondo. Era il 1969. Dopo due anni i negozi in Olanda erano 120. Intanto iniziative simili nascevano in altri paesi del Nord Europa.
Cosa è il commercio equo e solidale
Sono passati più di 50 anni e sono successe molte cose. Di commercio equo e solidale si è occupato il parlamento italiano e l’Unione Europea, le agenzie dell’ONU e le chiese cristiane. Possiamo trovarne la definizione anche nella Treccani.
Ma per capire cosa è veramente crediamo si debba andare alla fonte, cioè usare la definizione stabilita dalle organizzazioni che più di tutti lo hanno fatto e lo fanno.
Le principali reti internazionali del commercio equo concordarono nel 2001 la seguente definizione generale:
“Il Commercio Equo e Solidale è una partnership economica, basata sul dialogo, sulla trasparenza e sul rispetto che cerca maggiore equità nel commercio internazionale. Contribuisce ad uno sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali e assicurando i loro diritti, ai produttori e lavoratori marginalizzati – soprattutto nel Sud del mondo.
Le organizzazioni del Commercio Equo e Solidale, supportate dai consumatori, sono impegnate attivamente nel sostenere i produttori, sensibilizzare e realizzare campagne per cambiare le regole e le pratiche del commercio internazionale convenzionale”
Recentemente World Fair Trade Organization (WFTO) e Fairtrade International (FI) hanno elaborato, insieme ad altre organizzazioni ed esperti, una Carta Internazionale del Commercio Equo e Solidale “con lo scopo di produrre un documento comune di riferimento per il movimento globale del Commercio Equo e Solidale. Si cerca di aiutare gli attori del Commercio Equo e Solidale a spiegare come il loro lavoro si colleghi con i valori condivisi e l’approccio generale, e aiutare gli altri che lavorano col Commercio Equo e Solidale a riconoscere quei valori e quegli approcci.” (pag.4)
La Carta è stata lanciata il settembre del 2018. Un anno dopo l’avevano riconosciuta oltre 450 organizzazioni e reti. Quindi può essere considerata il documento più autorevole e aggiornato per capire come il movimento rappresenti sé stesso, in termini di valori e obiettivi condivisi dalla maggior parte dei suoi attori.
Come funziona il commercio equo e solidale
Riguardo le regole di condotta seguite dalle organizzazioni del CEeS per realizzare in pratica quelle finalità, non esiste un unico standard. Un documento molto rappresentativo è costituito dai 10 principi adottati dalle FTO (Fair Trade Organizations), che aderiscono a WFTO.
In estrema sintesi possiamo descrivere quello che accade così: ci sono delle organizzazioni che entrano in contatto con i produttori e acquistano prodotti alimentari o artigianali, applicando alcuni criteri commerciali che sono fuori da una logica di massimo profitto o guadagno speculativo:
Importazione diretta: vengono ridotti al minimo i passaggi commerciali, e vengono evitate intermediazioni speculative.
Pagamento equo: viene stabilito in accordo con il produttore, tiene conto dei costi reali di produzione, e garantisce un reddito dignitoso, cioè sufficiente per soddisfare i bisogni di base tenuto conto del costo della vita locale. Allo stesso tempo deve essere sostenibile dal mercato. Un pagamento equo significa una remunerazione socialmente accettabile (nel contesto locale), considerata equa dai produttori stessi e che prende in considerazione i principi di uguale retribuzione per uguale lavoro di donne e uomini.
Prefinanziamento: alla conferma dell’ordine viene anticipato, ai produttori che lo richiedono, una parte del pagamento (fino al 50% del valore dei prodotti) per facilitare l’acquisto delle materie prime ed evitare che i produttori cadano nella spirale dell’indebitamento
Rapporti duraturi: viene data una garanzia di continuità, che significa per i produttori e le loro famiglie sicurezza economica e la possibilità di realizzare progetti di autosviluppo a lungo termine; inoltre consente di migliorare la capacità imprenditoriale e di consolidare la presenza sul mercato.
Rispetto per l’ambiente: vengono promossi l’uso di materiali riciclabili, processi produttivi a basso impatto ambientale e le produzioni biologiche.
Il CEeS privilegia piccoli produttori svantaggiati riuniti in gruppi, associazioni o cooperative basate sul principio della partecipazione, che uniscono all’impegno produttivo un obiettivo di sviluppo sociale e comunitario e garantiscono i diritti delle donne, dei bambini, delle popolazioni indigene.
Per saperne di più sul commercio equo e solidale
Come riconosciamo i prodotti del commercio equo e solidale
La vendita dei prodotti così importati avviene attraverso due canali: le Botteghe del Mondo e la distribuzione commerciale normale. Il consumatore italiano li può riconoscere grazie a due principali di marchi di garanzia:
- Marchio Fairtrade: certifica i prodotti che rispettano i criteri base del CEeS, rendendoli riconoscibili anche negli scaffali dei negozi normali e della grande distribuzione. Imprese private che vogliono contribuire al commercio equo possono creare singoli prodotti o linee di prodotti, ottenendo la licenza di uso del marchio a condizione che rispettino le condizioni contrattuali previste. Quindi consente di coinvolgere nel CEeS le aziende normali, fornendo loro un modello da seguire per la creazione e commercializzazione di nuovi prodotti. Questo marchio è gestito da Fairtrade International (FI).
- Marchio Fair Trade Organization: certifica le organizzazioni che si dedicano al CEeS come loro principale attività e ragione di esistere, per distinguerle dalle imprese che applicano i criteri del CEeS solo a una parte dei loro prodotti. Inoltre permette la certificazione indiretta dei prodotti venduti da tali organizzazioni, anche quelli non standardizzati per i quali sarebbe impossibile avere una certificazione di prodotto, come i prodotti artigianali. Questo marchio è gestito da World Fair Trade Organization (WFTO).

In conclusione al consumatore viene offerto un sistema integrato che garantisce come prodotti del CEeS:
- quelli contrassegnati dal marchio Fairtrade
- quelli prodotti da organizzazioni certificate dal marchio Fair Trade Organisation
Le Botteghe del Mondo sono negozi speciali, gestiti da associazioni o cooperative senza scopo di lucro, anche grazie all’impegno di migliaia di volontari. Luogo privilegiato di vendita dei prodotti del CEeS, compiono un’attività di informazione e sensibilizzazione, che permette di diffondere i valori base del commercio equo e più in generale la proposta del consumo responsabile. In Italia ne esistono oltre 200.
Cosa possiamo fare per sostenere il CEeS
Per sostenere il CEeS dobbiamo far entrare stabilmente i suoi prodotti nelle nostre abitudini di spesa. Questo significa che, dopo averli provati, sceglieremo alcuni prodotti alimentari da acquistare abitualmente, ne terremo presenti altri per acquisti occasionali, ricorreremo all’artigianato per occasioni particolari, regali, ecc.
Si tratta di una scelta etica, che richiede un cambio di mentalità! Le priorità cambiano: non il prezzo, non il gusto, ma la giustizia sociale e ambientale!
I prodotti li possiamo acquistare:
- nei negozi normali, soprattutto nella grande distribuzione;
- nelle Botteghe del Mondo (se ce n’è una vicino a dove viviamo);
- in alcuni casi on-line.

Dove troviamo i prodotti del commercio equo e solidale
Alcune catene della grande distribuzione hanno sviluppato propri prodotti a marchio Fairtrade. Si tratta dei classici coloniali, in genere da coltivazione biologica. Il numero degli articoli è abbastanza limitato: 4 prodotti per Pam; 7 prodotti per Conad. Più ampio è l’assortimento offerto da Coop, che si è impegnata nel commercio equo e solidale fin dal 1995, e offre circa 40 prodotti alimentari confezionati più banane e rose fresche.
Altre catene hanno scelto di offrire prodotti a marchio Fairtrade di altre aziende profit, come Gala che vende alcuni prodotti equo-solidali della nota azienda di prodotti biologici Alce Nero.
Scelta ancora diversa è quella di inserire nel proprio assortimento i prodotti di Altromercato, la principale organizzazione non-profit italiana del commercio equo e solidale, come ha fatto Esselunga.
Altromercato è un’impresa sociale in forma di società cooperativa, i cui soci sono altre cooperative e organizzazioni non-profit che promuovono e diffondono il commercio equo e solidale attraverso la gestione di circa 225 Botteghe del Mondo. Altromercato tiene rapporti con 155 organizzazioni di produttori in oltre 45 paesi, e ha nel suo catalogo circa 300 prodotti alimentari, oltre a articoli di cosmesi naturale, per la casa, abbigliamento e bomboniere. Altromercato è certificata da WFTO.
I prodotti del CEeS sono generalmente collocati accanto ai prodotti convenzionali dello stesso genere, quindi si fatica un po’ per trovarli. Fanno eccezione i prodotti di Altromercato e di Alce Nero, che in genere sono raggruppati tutti insieme, e questo facilita il consumatore. Le banane in vaschetta sono sempre nel settore frutta accanto alle altre banane.
Si tenga conto che la stessa catena può offrire una scelta di prodotti più o meno ampia a seconda delle caratteristiche del punto vendita.
Nella piccola distribuzione i luoghi dove più facilmente troviamo prodotti alimentari del CEeS sono i negozi di prodotti biologici e gli esercizi come bar e caffetterie.
Infine ci sono le Botteghe del Mondo, che sono negozi particolari in cui si vendono prevalentemente prodotti del commercio equo e solidale, importati direttamente o acquistati da altri distributori. Sono gestiti da associazioni o cooperative senza scopo di lucro, e oltre alla vendita compiono un’attività di informazione e sensibilizzazione per promuovere i valori base del commercio equo e la proposta del consumo responsabile.
Quindi lo scopo di una Bottega del Mondo non è solo vendere prodotti equo-solidali. Vuole essere un luogo in cui valori monetari e valori viventi sono alleati e non nemici.
Ecco dove trovi i prodotti equo-solidali ad AREZZO !
L’informazione sul commercio equo e solidale
Quando, alla fine degli anni ’90, in Italia il CEeS è diventato un fenomeno consolidato e diffuso, le organizzazioni che lo promuovevano oppure altri soggetti della società civile, hanno commissionato studi per capire meglio la sua penetrazione nella società. Sono state fatte ricerche basate su indagini campionarie su scala nazionale che hanno riguardato specificamente il CEeS (Gpf & Associati nel 2004 e 2005 commissionate da Ctm altromercato) oppure i fenomeni più ampi del consumo responsabile (Iref nel 2002; OCIS-SWG nel 2018 e 2020) e del consumo di prodotti etici (Nielsen nel 2015 e 2018 commissionate da Fairtrade Italia).
I temi principali indagati sono stati:
- la conoscenza da parte dei consumatori;
- l’adozione effettiva dei comportamenti di consumo collegati;
- le motivazioni dell’adesione o non adesione, e quindi la fiducia sui prodotti e sui marchi;
- le caratteristiche socio-culturali del consumatore “virtuoso”;
- il legame con la partecipazione politica.
Il quadro che emerge è:
- tra il 2002 e il 2020 è cresciuta notevolmente l’adesione al consumo responsabile e al CEeS;
- i consumatori responsabili si interessano e partecipano più degli altri alla politica, nelle sue varie forme;
- il prezzo elevato e la scarsa fiducia sono due elementi importanti che spiegano il divario tra quanti conoscono i prodotti e i marchi, e quanti poi li acquistano davvero.
Le iniziative rivolte al grande pubblico sui canali importanti di stampa, tv, radio, che sono state realizzate negli ultimi anni, sono certamente servite a raggiungere l’obiettivo di diffondere un’informazione di base. Chi dichiarava di sapere poco o nulla dei prodotti etici era solo il 20% nel 2017, chi non conosceva il CEeS era il 34% all’inizio del 2020.
Se però si tratta di un’informazione semplificata e superficiale, non necessariamente incide sui comportamenti di consumo. Ci vuole una forte convinzione per modificare le proprie abitudini di acquisto. Ancora di più quando dalla scelta non si ricava un vantaggio nel rapporto qualità/prezzo.
Quanto alla fiducia, è abbastanza normale che un’informazione “veloce” sul CEeS faccia scattare una reazione di sospetto e diffidenza. Siamo troppo abituati a cercare il marcio dietro ogni azione che si presenti come ispirata a valori diversi da quelli resi normali da 50 anni di egemonia neoliberista: individualismo, materialismo, avidità, auto-interesse, competizione, …
Il CEeS è un raggio di sole che fa molta fatica a filtrare nel muro di cinismo e pessimismo alimentato dalla cattiva informazione, quella che enfatizza i fatti negativi, che parla solo dell’albero che cade e tace della foresta che gli cresce intorno, che ricava dal singolo caso una regola generale …
Emblematica di questa cattiva informazione è la trasmissione di Report “Cioccolato amaro” trasmessa nel 2017, che screditava il marchio Fairtrade in modo fazioso e disonesto. Per fare un altro esempio: un trafiletto su La Repubblica del 21/11/2018 dal titolo “Spese intelligenti che generano profitti”, riferiva che il premium Fairtrade che nel 2017 era andato alle organizzazioni di agricoltori e lavoratori ammontava a 178 milioni di euro. Evidente l’effetto fuorviante provocato sul lettore dal termine “profitti”.
In conclusione quasi mai la gente comune ottiene una conoscenza completa, corretta e critica su questi temi dalle iniziative che sono veicolate dal sistema informativo dominante.
Il fatto che in altri paesi europei esistano livelli di spesa pro-capite più alti, fa capire che esistono margini ulteriori di crescita, e oltre ad aumentare la diffusione della conoscenza generica sul CEeS, si dovrebbe consolidare la motivazione, la fiducia e l’impegno economico di quel gruppo che è già informato!
C’è dunque molto bisogno di andare oltre l’informazione semplificata per aiutare le persone a crescere come consumatori veramente consapevoli e responsabili.