È in corso un ciclo di incontri sulle conseguenze della rivoluzione digitale. Il primo incontro si è svolto il 14 luglio 2021 affrontando il tema del
potere eccessivo che che è stato acquisito negli ultimi 20 anni dalle grandi aziende tecnologiche con la complicità dei governi. Questo potere è così grande da costituire una seria minaccia per la democrazia.
Abbiamo trattato l’argomento partendo dalle analisi di Shoshana Zuboff, autorevole e stimata docente alla Harvard Business School, che nel 2019 aveva pubblicato un monumentale libro (oltre 600 pagine) intitolato The Age for Surveillance Capitalism. The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power. La LUISS University Press l’aveva subito tradotto in italiano con il titolo Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri.
Nel 2019 l’autrice è venuta a presentarlo nel nostro paese. La trasmissione radiofonica Radio3Mondo del 3 ottobre 2019 l’ha intervistata ed è possibile ascoltarla qui.
Nel libro la Zuboff descriveva in modo dettagliato come si è formato “un nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita (…) una mutazione pirata del capitalismo caratterizzata da concentrazioni di ricchezza, conoscenza e potere senza precedenti nella storia dell’umanità (…) Il capitalismo della sorveglianza impiega molte tecnologie, ma non può essere equiparato a nessuna tecnologia. Le sue operazioni usano le piattaforme, ma le sue piattaforme non coincidono con esso. Usa l’intelligenza artificiale, ma non può essere ridotto a tali macchine. Produce e sfrutta degli algoritmi, ma non coincide con gli stessi. Gli imperativi economici del capitalismo della sorveglianza sono i burattinai nascosti dietro le quinte”.
Il libro aveva suscitato molto interesse sia all’interno del mondo accademico e imprenditoriale, sia negli ambienti della sinistra radicale.
Anche se la tendenza a ridurre a merce porzioni sempre più ampie della realtà umana e naturale è una caratteristica del capitalismo fin dalle sue origini, l’impatto del libro era stato notevole perché aveva evidenziato come la nuova tappa di questa onnimercificazione del mondo possa provocare la sparizione dell’umanità, intesa come modo umano di ragionare e di comportarsi, di cui la libertà e la dignità sono i tratti distintivi. Il capitalismo della sorveglianza dovrebbe essere contrastato perché non si accontenta “di automatizzare i flussi di informazioni su di noi, ma mira a automatizzare noi stessi”.
Il 29 gennaio 2021, sulla scia dell’assalto alla Casa Bianca del 6 gennaio, la Zuboff ha pubblicato sul New York Times un lungo articolo che sposta l’attenzione dagli aspetti economici e antropologici della rivoluzione digitale a quelli politici.
Abbiamo usato quell’articolo, pubblicato sul n°1404 del settimanale Internazionale, per presentare il tema del 1° incontro del LABORATORIO DI PENSIERO CRITICO E IMMAGINAZIONE POLITICA organizzato dall’associazione sul tema “Dopo 30 anni di promesse è tempo di bilanci: dove ci sta portando la rivoluzione digitale?”
L’articolo, fin dal titolo (The Coup We Are Not Talking About, cioè Il colpo di stato di cui non stiamo parlando, tradotto da Internazionale come Colpo di stato digitale) colpisce per la durezza dei giudizi sulla realtà economica e politica degli USA, che investono però tutti i paesi democratici occidentali. Un grido di allarme drammatico che non può essere ignorato!
Ve ne proponiamo una sintesi e alcuni passaggi (i grassetti sono nostri).
La Zuboff spiega in cosa consista il colpo di stato cognitivo realizzato dalle aziende del web (Google, Facebook, Youtube, Twitter, Amazon, …) che si sono trasformate in imperi miliardari grazie ai sistemi di raccolta, archiviazione, elaborazione dei dati su scala globale:
“Forti della loro capacità di sorveglianza e spinti dalla necessità di accumulare profitti, i nuovi imperi hanno architettato un colpo di stato cognitivo, basato su una concentrazione senza precedenti di informazioni sul nostro conto e sul potere incontrollato che deriva da questo patrimonio di conoscenza (…) oggi assistiamo all’avvento del caos cognitivo, causato dall’amplificazione algoritmica guidata dal profitto e dalla diffusione accuratamente personalizzata di informazioni false, in gran parte prodotte da strategie coordinate di disinformazione. I suoi effetti si fanno sentire nel mondo reale, nel quale fratturano la verità condivisa, avvelenano il discorso pubblico, paralizzano la politica democratica e talvolta istigano alla violenza e all’uccisione (…) Il caos cognitivo prepara il terreno per l’egemonia cognitiva indebolendo la società democratica, come si è visto chiaramente nell’insurrezione del 6 gennaio.”
Questo è stato possibile perché da almeno 40 anni i governi hanno lasciato totale libertà di azione alle imprese private del settore digitale:
“L’intollerabile verità della situazione attuale è che finora gli Stati Uniti e la maggior parte delle altre democrazie liberali hanno ceduto la proprietà e la gestione del mondo digitale al capitale privato della sorveglianza, che ormai si contende con la democrazia i diritti e i principi fondamentali che definiranno il nostro ordine sociale in questo secolo. (…) Forse una maggiore consapevolezza di questo colpo di stato in atto e della minaccia che rappresenta per le società democratiche ci costringerà finalmente a fare i conti con la scomoda verità che incombe su di noi da vent’anni. Possiamo vivere in democrazia o possiamo vivere nella società della sorveglianza, ma non in entrambi i posti contemporaneamente.”
La Zuboff afferma che nel 2001, dopo l’attentato dell’11 settembre, le autorità USA hanno deciso che fosse necessario adottare la sorveglianza come principio guida dell’ordine sociale, e questo avrebbe aperto le porte all’alleanza, sovversiva dei principi democratici, tra le multinazionali della rete e le agenzie dell’intelligence americane. Si può osservare che qui la Zuboff riscriva la storia dando un’immagine edulcorata del proprio paese: il proposito di dominare le telecomunicazioni globali a fini di controllo da parte degli USA è molto precedente all’11 settembre 2001! Resta vero che negli ultimi 20 anni sono stati fatti eccezionali progressi per renderlo effettivo.
Le prove di questa corsa verso l’abisso sono due: da un lato la crescita della spesa dei giganti del web in attività lobbistiche rivolte ai politici, dall’altro i dati sulla potenza delle agenzie della disinformazione, in grado di raggiungere centinaia di milioni di persone. Questi fatti hanno finalmente permesso al grande pubblico di scoprire il vero volto degli anti-social media:
“Il permesso di rubare aveva un prezzo, che ha obbligato i dirigenti di queste aziende a dare il loro continuo appoggio a funzionari e politici (…) Nel 2018 metà dei senatori degli Stati Uniti ha ricevuto contributi da Facebook, Google e Amazon, e queste aziende continuano a spendere cifre da record per influenzare la politica. (…) Gli imperativi economici del capitalismo della sorveglianza hanno trasformato Facebook in una polveriera di disagio sociale (…) Nel 2018, quando è scoppiato lo scandalo legato all’azienda di consulenza Cambridge Analytica, il mondo ha improvvisamente visto Facebook in modo diverso, e questo ha offerto l’opportunità per un cambiamento radicale.”
Nell’ultima parte l’autrice cerca di indicare la via da percorrere per costruire una società dell’informazione che faccia progredire i valori e le istituzioni della democrazia, per porre le fondamenta di un secolo digitale democratico. Propone tre principi:
- Tornare ad applicare le norme a tutela della concorrenza contrastando i comportamenti di abuso del potere di mercato da parte delle imprese digitali (norme anti-trust).
- Mettere fine alle attività di raccolta dati, attraverso una legislazione che la proibisca.
- Eliminare gli incentivi finanziari che rendono profittevole l’economia della sorveglianza: cioè interrompere e mettere fuori legge le attività economiche che si basano sulla raccolta illecita dei dati.
Il punto 2 è quello essenziale:
“Una civiltà dell’informazione che voglia dirsi democratica non può progredire senza nuove dichiarazioni sui diritti cognitivi che proteggano i cittadini dall’invasione e dal furto su vasta scala messi in atto dall’economia della sorveglianza. Per quasi tutta l’età moderna i cittadini delle società democratiche hanno considerato l’esperienza personale un elemento inseparabile dell’individuo, qualcosa di inalienabile. (…) Quasi tutto il dibattito normativo si concentra sulla questione dei dati, la loro tutela, accessibilità, trasparenza e portabilità, oppure sui meccanismi per comprare il nostro consenso per usarli (…) Le aziende tecnologiche ci vogliono in questa condizione, così infognati nei dettagli del contratto di proprietà da dimenticarci il problema vero: il fatto che la loro richiesta è illegittima.”
Può darsi che sia un obiettivo non realistico, ma è importante che sia affermato perché porta l’attenzione alla radice del problema: il furto clandestino dell’esperienza umana e il suo utilizzo per manipolare le scelte della gente deve essere apertamente condannato perché è incompatibile con i principi della democrazia!
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